Maternità surrogata e scala di priorità

19.08.2015 14:30

Madri surrogate nel mondo

Le cronache dal giorno del terremoto in Nepal hanno riportato alla luce l’argomento della maternità surrogata e dei diritti delle donne che prestano il loro corpo per questa pratica;  l’articolo del Time guarda alle donne che sono state lasciate indietro a ricostruire le macerie del loro paese subito dopo aver partorito e lasciato che i bimbi partissero per Israele con i genitori, cosa non successa invece a quelle che ancora dovevano partorire, ospitate nel futuro paese dei bambini finché non portano a termine il loro impegno. Riguardo quest’ultima questione ha generato sconcerto la reazione del Ministro degli Interni israeliano che ride delle  prospettive delle madri surrogate  una volta “consegnato” il nato.

Il Nepal è diventato una meta ambita da chi si rivolge alla maternità surrogata, per via dei prezzi bassi: meno di diecimila dollari contro le diverse decine di migliaia dell’India o il centinaio di migliaia degli Stati Uniti, dove la pratica è generalmente legale e ben regolamentata – nonostante alcuni Stati abbiano restrizioni in merito.

Fino al 2013 era l’India il Paese che forniva l’offerta che adesso propone il Nepal, ma l’avvento di leggi sull’argomento ha minato la possibilità da parte di single, coppie non sposate o omosessuali o provenienti da Stati in cui sia vietata, di ricorrere alla surrogazione in India, quindi le aziende che se ne occupano si sono mosse verso uno stato con una legislazione più blanda in materia, sempre che la surrogazione riguardi coppie straniere. Non solo la coppia ricevente il bambino non deve essere nepalese, ma anche la madre surrogata, che generalmente proviene invece da Bangladesh e India.

Leggi sulla surrogazione

Fondamentale è l’aspetto commerciale della pratica: nel Regno Unito il quadro legislativo si è evoluto negli anni a partire dal 1985, e tra i requisiti compare la necessità di dimostrare che non ci sia stato alcun pagamento tranne le ragionevoli spese del processo, questo per impedire che la surrogacy si trasformi in un mezzo di sfruttamento della donna, che non compie più una scelta motivata da intenzione donativa, quanto per interesse economico. Non tutte le legislazioni però hanno seguito questo indirizzo: in Russia e Ucraina la maternità surrogata è accessibile, legale e non pone limiti di carattere commerciale, cosa che solleva dubbi sull’interesse della donna che si mette a disposizione per volontà di fornire un aiuto a chi non abbia la possibilità di procreare, oppure se per questa sia una dolorosa pratica necessaria per sopravvivere – quindi soggetta a essere sfruttata. Il dubbio rimane.

Un problema che corre il rischio di essere sottovalutato

Ci sono però degli interessi da tutelare oltre a quelli della “madre in affitto”, cioè quelli dei nuovi nati. Negli anni si sono seguiti alcuni casi originati da questioni di incompatibilità legislative tra i Paesi di provenienza dei genitori e quello della “portatrice”: è ad esempio il caso di Baby Manji, o Baby M., su cui si accesero i riflettori nel 2008. Il padre e la madre richiedenti la surrogazione avevano divorziato prima della nascita del bambino, che a quel punto non poteva essere dato in adozione ad un uomo single per la legislazione indiana. La legge giapponese non prevedeva l’eventualità della surrogazione, quindi nacque una disputa persino su chi fosse effettivamente la madre del bimbo.

Il caso purtroppo non è isolato, e genitori italiani e tedeschi hanno fronteggiato la legge o non hanno potuto fornire una nazionalità al bambino, che vive da apolide in India con il padre per via dei diversi interessi di Germania e India: la prima proibisce la surrogazione, la seconda non vuole fornire il passaporto indiano ai bambini che nascono con questa pratica.

Ubi maior, minor cessat

I casi enumerati purtroppo non sono i soli che si possono trovare in internet e raccontano di un fenomeno ancora non troppo diffuso ma che pone di fronte, a chi ne voglia fare ricorso, delle questioni di carattere etico che non sono ad oggi state sbrogliate.

Se dovessimo costruire una casa in cui far vivere questi bambini la prima preoccupazione sarebbe rivolta alla loro sicurezza, sia abitativa, sia come protezione per gli accadimenti non perfettamente preventivabili al momento del progetto. Il risultato si ottiene immaginando una casa molto più solida di quanto serva e di quanto si spera possa mai servire. L’opinione di chi scrive è che l’interesse primario della salvaguardia del bambino nato con surrogazione vada tutelato indipendentemente dalla legislazione dello Stato che lo “adotta”.

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